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C’ERA UNA VOLTA… LA PALLACANESTRO – A.Kenney, R.Parish e il Torneo delle Rose…

Il torneo delle Rose di Roseto degli Abbruzzi fu uno dei maggiori palcoscenici per tanti americani che in quegli anni venivano in Italia. Generazione di giocatori che difficilmente rivedremo nel bel paese

 

Tutto nasce a Roseto degli Abruzzi dove arrivo nel 2008, per lavoro, anzi lì ci vado a vivere, il lavoro sta più in là, verso il Gran Sasso. Non c’ero mai stato e quindi mi fiondo alla mitica Arena Quattro Palme, mi siedo sui gradoni, chiudo gli occhi e respiro aria di Torneissimo, che fa un gran bene alla mente e al cuore, e risento la telecronaca del mercoledì sport del Jordan, vedo sfilare il Remo locale con Stefanini, il Principe con Gamba, l’angolo di Belov, Sergej,  a parte.on l’omonimo Alexander, il sinuoso Charlie Sax con il tiramolla Kreso, che sbeffeggia tutti con quell’aria sorniona, il mammut Volodia con il roccioso Meneghin, il contropiede di Barabba che stende i rossi per la prima volta, il guerriero Arturo rosso crinito, il fu rosso crinito McGregor, e le varie All Stars, Gulf, la TWA, la Gillette. La vittoria storica sui sovietici del 7 luglio 1976 fu la prima, dopo 25 anni pieni di sconfitte e fece esplodere la gioia dei 4500 presenti avvinghiati ai tubi Innocenti dell’Arena Quattro Palme.

Ero già stato più volte in Abruzzo tanti anni prima, per motivi religiosi, militari e professionali, sempre a Pescara, per un convegno eucaristico internazionale con l’Abbé Pierre e Paolo VI, per un treno che portava a Roma ma mi trovai a Pescara, e per una visita al fornitore di liquirizia, ma era una fase della mia vita che fingeva di fregarsene dello sport più bello del mondo, per motivi imperscrutabili. Ero consapevole di trovarmi ad appena 30 km dall’Università del Basket, sperata dal colonnello Anastasi e patrocinata da Lou Carnesecca. Non ci andai allora, ma i fili della vita alla fine si ammatassano sempre, e quelli del basket sono molto intrecciati a Roseto.

Focoso personaggio fu il colonnello, che percorse la parabola dei tornei estivi fin dai primi anni Cinquanta, in collina a Chieti con il Trofeo Barattucci; poi divenne il deus ex machina del Torneissimo al mare, per concludere la sua opera in montagna, in quel di Sondrio, con il Torneo Valtellina (che ospitò anche Michael Jordan nel 1985, ma lui non c’era più). 

Un giorno del 1968, per una specie di ex voto, dopo essersi salvato da un incidente, svegliò tutta la truppa del Lido delle Rose e li convinse, obtorto collo, a una gita fuori porta a una quarantina di chilometri, presso il santuario di San Gabriele a Isola del Gran Sasso. Nessuno osò marcar visita e tutti furono presenti, tra i quali ricordo Jim McGregor, Lello Morbelli, Boris Stankovic futuro segretario generale della FIBA, i giornalisti Aldo Giordani, Gianni Menichelli e Magnolfi, Giorgio Primi di Cantù, primo presidente vicario di Legabasket, e tutti gli atleti. 

Piano piano l’aria del Lido delle Rose mi ha riavvelenato di quel virus dell’arancia, che per pochi è una malattia e per molti fortunati è la cura, e cinque anni dopo scrivo il mio primo libro di storia del basket, che non è ancora il nostro titolo.

Ormai soggiogato riprendo a vedere le partite, a giocare il venerdì sera, seguo mio figlio nei vari tornei di minibasket, da Caserta a Bruxelles, conosco tantissimi protagonisti di quei tornei notturni, sulla panca o sugli spalti, e mi nasce la voglia di dedicare uno scritto a quell’incredibile atmosfera, che i turisti ammiravano e vivevano al Torneissimo, che per i locali ormai è come un cugino di secondo grado, amatissimo ma andato via, lontano, tanto tempo fa. Anzi, non reputandomi degno di scrivere solo del Trofeo del Lido delle Rose, ambisco a tutti i grandi tornei estivi del boom della pallacanestro in Italia.

Il mio desiderio rimane in sospeso, almeno fino a quella serata del 2019, su una tavolata con decine di arrosticini annegati di birra, nel baracchino di fronte al PalaMaggetti, quando tra un ricordo e una chiacchiera, il mio commensale e amico Andrea del Petrarca mi fa: “Sai, a Matera qualche giorno fa c’era l’Arturo”. Io digerisco e chiedo: “Quale Arturo, il mio idolo del Simmenthal?” “Si,” e mi schiaffa davanti le foto del Rosso Guerriero insieme a un nugolo di marmocchi. Forse è nata lì la scintilla per il libro del titolo, forse è nata lì l’immediata decisione di contattare Arthur Kenney a New York City, forse non lo so, ma sentii fortissimo lo schiocco di una molla dentro di me.

Contattare Arturo fu facile e pure fare amicizia con lui. Ci scambiammo molte videochiamate, parlando a ruota libera, soprattutto di basket, del Simm, dei tornei estivi, e del Coach McGregor. Piano piano mi venne l’idea di scrivere un libro che poteva comprendere Jim e la storia dei tornei estivi, molto legati dal 1966 al 1976 almeno, primo successo degli Azzurri sull’orso sovietico, anche se si conclude con il 1978, anno della biografia di McGregor, meraviglioso volo pindarico in quarant’anni di viaggi, sport e cultura che racchiude la summa della vita del Coach-Agente-Viaggiatore-Talent Scout-Cabarettista di Portland, che coincide con l’inaugurazione del Palazzetto di Roseto che mette un tetto sopra ai sogni delle Quattro Palme.

La goccia che fece traboccare il calamaio furono le giornate che spesi con lui in ottobre pre-covid, prima a Milano e poi a Manhattan. Passammo un pomeriggio stupendo con il Papo e gli amici del Museo del Basket di Milano, e alla presenza di un altro dei miei miti giovanili, quando mi collegavo a TeleCapodistria e sentivo la sua voce, Sergio Tavcar.

Simpatico l’aneddoto della vittoria al Torneo di Trieste, del Lloyd di Serie B contro la Forst Cantù europea, con Brumatti, Kenney e Plecas, il baffone, in prestito, che scommise, vincendo, di rubare due palloni al Pierlo (tutti i fatti non hanno avuto conferma da parte dei canturini giocanti).

Per farla breve, dopo tre o quattro mesi, in piena pandemia, riempii il tempo scrivendo “Jim McGregor e i tornei estivi”. 

Avevo nel frattempo allargato la mia cerchia di cestofili, con altri contatti che contribuirono a ricreare l’epoca d’oro della pallacanestro. Alcuni non ci sono più, come Charlie Harrison, che mi raccontò con gioia la sua esperienza di ventenne ad allenare una squadra imbattuta nell’estate 1977, la Sicutronic di Yelverton, Bucci, Fernstein e altri campioni; oppure Lucky che fu gentilissimo e mi ricordò la sua vita con McGregor, fin da quando lo affiliò alla sua Federazione Sanmarinese, creando un subbuglio diplomatico con la FIP romana, perché Jim aveva problemi con quella statunitense, e che quando batté la famosa Gillette con la sua San Marino All Stars se ne vantò con lui: 

“Hai visto Mac che l’allievo ha superato il Maestro?”, 

“Certo, io ho piazzato tutto il team, e tu?”, 

“Io zero.” 

E Capicchioni imparò e divenne il terzo importatore di stranieri in Europa e procuratore di Kukoc, Ginobili, Sabonis.

Ancora oggi, ogni tanto sento Rich Kaner che portò il primo americano, Elnardo Webster, a Gorizia nel 1969, e che fu l’agente di Morse nel 1972. Mi raccontò di quando mise insieme Phil Melillo e Robert Parish nei Tornei di Sicilia con la New Jersey All Stars del 1976, quando The Chief aveva lasciato in braghe di tela i Warriors, per l’offerta troppo bassa, prima che ci ripensassero.

Di Parish, Gary Walters mi raccontò la timidezza nel trovarsi di fronte ai garrusi che lo osservavano con la bocca aperta, per la lunghezza e la scurezza che non avevano mai visto prima.

Gary è stato una fonte simpaticissima di notizie, fin da quando giocò insieme a Bill Bradley a Princeton, a quando vide Dr. J alto come un soldo di cacio, a quando allenò quella mitica squadra della Riccadonna All Stars ai tornei del 1973, che fu il canto del cigno della Gillette All Stars, non del Mac.

Senza dimenticare i ricordi di Mario Giunco l’ultimo di quella stirpe che portò alla gloria il Torneissimo, o l’aedo dei tornei estivi e di Roseto degli Abruzzi, Aldo Giordani, che faceva ammattire il fotografo ufficiale Michele del Governatore, pretendendo i fuori sacco ferroviari con le fotografie delle partite, per riceverli prima a Milano e fare il giornale in tempo.

Delle donne di cui si favoleggiava, delle sue cinque mogli, non ho approfondito, ma ho sentito la figlia Rena, ancor oggi fortissimamente legata al papà, morto nel 2013 a 91 anni.

Tutte queste persone, personaggi che io mitizzavo sgranocchiando i Giganti, Guerin Basket e poi Superbasket, erano felici di raccontare quell’epoca, di ricordare episodi che giacevano nel recondito dei loro pensieri, schiacciati da anni di tanti successi in competizioni ufficiali; Harrison mi disse che ero il primo a chiedergli di parlare della Sicutronic e che era contento. Altri, come Manfredo Fucile, ancora oggi si ricordano che non vedevano l’ora di finire il campionato, per immergersi in quelle arene dove potevano dare sfogo al loro amore per il gioco, senza la tensione dei due punti, anche se le sfide non erano troppo amichevoli, ma c’erano Lu Sole, Lu Mare, Lu Basket, come un genio ha pitturato su un muro rosetano, che davano il senso a una vita spensierata all’aria aperta, senza dimenticarsi le nottate.

Tanti sarebbero gli episodi da citare, comprese le storielle di cui Jim era fornitissimo, che forse è meglio leggere nel libro, anzi meglio sarebbe se poneste qualche domanda su questi argomenti, per poter essere approfonditi a parte. 

A me ha dato molta soddisfazione volare virtualmente dall’Arena Mallozzi di Scauri al Palazzo Comunale di Messina, dal Lido Mondello di Palermo alla Villa Comunale di Chieti, dall’Arena Europa di Porto San Giorgio all’Isola d’Ischia, senza dimenticare il Lido di Venezia, la Riviera di Rimini o le Palme di Loano e senza mancare di rispetto alle altre decine di località che nel 1973 deliziarono 150.000 villeggianti di tutta l’Italia, oltre ai turisti stranieri.

Non posso dimenticare la cultura dell’Ambasciatore del basket Jim McGregor, che seppe coltivare per sé e per i 600 suoi alunni che lo seguivano in tour, sia sportiva che extra.

Non so se è stato un grande allenatore, lascio parlare Sandro Gamba e altri per me, ma non riesco a capire come un vero Ambasciatore del Basket Internazionale come lui sia stato dimenticato a Roma, Ginevra e Springfield.

L’unico cruccio che ebbe in vita McGregor fu che per ben quattro volte si qualificò per le Olimpiadi, ma non riuscì mai a parteciparvi. Il solo cruccio degli alunni rimasti, che si ritrovano tutti gli anni a New York per brindarlo, e mio personale, è che l’unica Hall of Fame che lo conteneva è quella del suo liceo Grant High School, per le sue abilità nel nuoto e nell’atletica leggera, non avendo primeggiato come cestista.

Per fortuna ci hanno pensato i rosetani a rimediare, eleggendolo nella prima edizione della Hall of Fame Trofeo Lido delle Rose 2021, nella categoria Allenatori, e di questo saranno eternamente ringraziati.

Rifaccio l’appello al Presidente della FIP Gianni Petrucci, che già scrisse in passato a favore di Jim McGregor e che ha ricevuto copia del libro da parte di Enrico Campana, perché possa essere degnamente ricordato il coach, che è nato nel 1921 come la FIP, festeggiandolo e riconoscendolo. 

In fin dei conti Jim McGregor spese due anni alla guida della Nazionale Azzurra, qualificandosi per Melbourne 1956, oltre a partecipare ai vari campionati italiani per 12 anni e aver portato decine di pullman zeppi di americani nei Tornei Estivi e nella Serie A. Se lo merita.

Riposi in pace Coach.

Riposate in pace Tornei Estivi, anche se avremmo ancora tanto bisogno di voi.

 

 FONTE E ARTICOLO  a cura di Roberto Bergogni