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C’ERA UNA VOLTA…LA PALLACANESTRO – Velluti, il Simmenthal Milano , e il salto in alto…

L'ex scarpette rosse fu un grande atleta non solo nella pallacanestro...

Quale è la più grande aspirazione di un ragazzo di 21 anni che pratica sport agonistico a livello internazionale ? certamente partecipare ad una Olimpiade.

                          Ebbene a me,Claudio Velluti. appena maggiorenne nel 1960(a quei tempi si diventava maggiorenni a 21 anni) credo l’unico PO(probabile olimpico) in due sport differenti, basket ed atletica leggera, è stato negato di partecipare all’Olimpiade che si sarebbe svolta a Roma nel 1960 perché, come l’asino di Buridano (così aveva scritto il grande Aldo Giordani nel suo Guerin Sportivo)dopo tanto tergiversare ho fatto la scelta sbagliata.

                         Ormai facevo parte della squadra Nazionale di basket

con la quale avevo già partecipato ad un campionato europeo(Istanbul 1959) ed alla Tourneè preolimpionica che la Fip aveva organizzato in Sudamerica nella primavera del 60 quando in attesa di riprendere la preparazione ho partecipato ad una gara di salto in alto,(attività sportiva che svolgevo nei ritagli di tempo, quasi senza allenamento specifico, prima con la società Amsicora di Cagliari poi con la Riccardi di Milano e per la quale avevo già fatto parte della nazionale giovanile italiana,)saltando i  fatidici 2 metri che era il minimo stabilito per poter partecipare all’Olimpiade e che era, in quel periodo, la misura più elevata saltata quell’anno da una atleta italiano.

                        Chiamato subito dai vertici della federazione italiana di atletica leggera mi è stato proposto di lasciare la preparazione olimpica del basket e di iniziare ad allenarmi con tutti gli alti atleti dell’epoca ( Berruti, Lievore etc) nello stadio in altura di Schio seguito dai migliori preparatori italiani in atletica dell’epoca(ricordo che il preparatore per i salti era Russo) che subito hanno cercato di migliorare la mia tecnica di salto ventrale che avevo messo a punto  in maniera “personale” e che  naturalmente ha ridotto la mia capacità di superare l’asticella pur se in allenamento controllato avevo saltato oltre i due metri.

                          Ricordo benissimo, come fosse oggi, il momento in cui mi sono recato a Roma dal prof. Paratore (che era l’allenatore della squadra di basket) per rendergli nota la mia decisione di partecipare all’Olimpiade in atletica leggera e della richiesta da parte dello stesso di non abbandonare il campus preolimpico visto che avevo già fatto tutta la preparazione con la squadra.

                        Durante un periodo di oltre un mese trascorso in allenamenti a Schio, periodo nel quale in preparazione avevo superato diverse volte i due metri, un altro saltatore italiano,Raimondo Tauro, aveva saltato due metri raggiungendo il minino richiesto per partecipare all’olimpiade ma la federazione di atletica, per bocca di Oberweger, ha preso una decisione che ancora non riesco a metabolizzare, quasi all’ultimo momento, di non iscrivere nessun atleta alla gara di salto in alto senza specificare la ragione di questa decisione visto che la gara si sarebbe svolta a Roma, quindi senza spese di trasferta od altro ,e che i due saltatori avevano superato il minimo, in gare ufficiali ed avrebbero potuto partecipare almeno alla qualificazione.

 

 

           Difficile  dire, a distanza di tanti anni, quale sia stata la mia delusione e lo stato d’animo per quella inaspettata decisione,( presa dalle stesse persone che mi avevano convinto a lasciare il basket ,sport di squadra, per partecipare ai giochi come atleta singolo con maggiori responsabilità ma anche maggiori soddisfazioni personali),che mi negava la gioia ed il piacere di veder appagata la volontà ed i sacrifici sostenuti, a scapito anche dei miei studi universitari, per poter partecipare a quell’evento che, come ho detto ha sempre rappresentato la mia più grande aspirazione sportiva.

             Evento al quale non ho più avuto la possibilità di partecipare perché, pur continuando a svolgere attività sportiva nazionale ed internazionale sia nel basket che nell’atletica, è arrivato quattro anni dopo proprio nell’anno della mia laurea in medicina e del matrimonio che mi hanno certamente ripagato della delusione sofferta. 

 

Articolo a cura  di  SANDRO SPINETTI