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LBA – Avellino: “Ciò che è (quasi) morto non muoia mai!”

“Ciò che è morto non muoia mai, ma risorga più duro e più forte”, questa è la preghiera che gli abitanti delle Isole di Ferro rivolgono al Dio Abissale nella celebre saga di George R. R. Martin Il trono di spade, e questa, allo stesso modo, è stata la preghiera rivolta da tutti i tifosi della palla a spicchi avellinese alle istituzioni e all’imprenditoria locale per salvare quello che rappresenta un grande patrimonio per l’Irpinia.

Sono ormai note le vicissitudini che hanno colpito l’azienda del patron Gianandrea De Cesare, la Sidigas Spa, e, indirettamente, le società sportive di cui è proprietario, la S.S. Felice Scandone 1948 e l’U.S. Avellino 1912. Ad averne la peggio, potrebbe essere proprio la società della palla a spicchi, che ha già dovuto dare forfait in Legabasket Serie A dopo 19 anni ed il cui futuro è in bilico. Se è vero, infatti, che con l’ottenimento del concordato in bianco da parte della Sidigas si è scongiurato, almeno momentaneamente, il fallimento, è altrettanto vero che tutte le problematiche che hanno portato all’esclusione del basket irpino dalla serie A permangono attualmente.

A tal proposito, per fare chiarezza sul futuro, il sindaco di Avellino Gianluca Festa, dopo aver iscritto in extremis la Scandone in serie B mettendo di tasca propria ventimila euro, ha convocato il patron della Sidigas e i curatori fallimentari al Palazzo di Città per fare chiarezza sul futuro. Come suo solito, De Cesare ha delegato il presidente Mauriello, con il quale si è giunti ad un conclusione: continuare in serie B con la S.S. Felice Scandone 1948, evitando la costituzione di una nuova società che potesse ripartire da zero. La notizia ovviamente non può che far felici i supporters irpini, i quali, tuttavia, si chiedono: che futuro potrà mai avere una società sommersa dai debiti e ostaggio di un amministratore su cui pendono diversi capi d’accusa?

Il consiglio federale del 16 luglio ha approvato l’iscrizione alla serie B da parte della società irpina, ma allo stato attuale manca una benché minima organizzazione, partendo dallo staff tecnico e arrivando ai giocatori. Pendono, inoltre, sulla testa della società, i famosi 12 milioni di debiti accumulati dalla gestione di De Cesare: il sindaco afferma che, pur essendoci una cospicua massa debitoria, la Scandone vanta anche una cospicua massa creditoria che pareggerebbe i bilanci, e che potrebbe partire un azionariato popolare per racimolare i fondi per sostenere le spese del campionato. Se quanto detto dal sindaco fosse vero, è lecito porsi, tuttavia, delle domande: se davvero non ci sono problemi finanziari, cosa ha portato la Scandone a rinunciare così facilmente alla massima serie? Cosa tiene lontano gli investitori da una società “sana” in serie A prima, e in serie B poi? Quale sarebbe l’organizzazione societaria, dal momento che De Cesare è momentaneamente “scomparso”? Come si affronteranno gli ulteriori debiti in arrivo, tra lodi esecutivi e mensilità pregresse non pagate?

La Scandone, per il momento, è viva, ma affinché risorga “dura e forte” c’è bisogno di trasparenza, di chiarezza e di organizzazione, altrimenti rischia di morire e portar con sé tutto il mondo della palla a spicchi avellinese.